SOGNO SETTIMO

 

 

Egli cucina nella grande casseruola

una vacca, un maiale e un pollo

in un sugo di pomodori.

Si nutre del veleno

della sua ignoranza piú malefica,

marcisce nella cottura

di quella pozione abominevole,

e mentre imbocca col grande cucchiaio

un assaggio dell'orrido grido

diventa re dei piú luridi regni:

stolto aguzzino in preda

al suo proprio assassinio.

 

I miei panni pendono in alto su un filo

tra gli edifici dei quartieri spagnoli.

Una camicia e un pantalone pastelli

colgono frettolosi le mie mani

che al tempo dei miei svelti passi

fuggono dal macabro luogo.

 

Potró mai dimenticare quel funebre boccone?

Potró mai cancellare il suo lurido volto

e le loro grida, il loro sudore,

l'oscura prigionia dove costretti

infelici morirono, per loro stessi,

ma non per me?

Potró mai guardar di nuovo

con questi occhi sporchi

una valle bianca e un pastore

col suo bastone

camminar la pace,

respirar la purezza delle limpide curve

ove il suo gregge

felicemente esiste?

 

Potró mai.

Potró no.

Potró non voler soccombere.

Potró voler resistere.

Potró contemplare il mondo

e risarcir loro il danno

che la mia maledetta memoria

con un cuore ancora intero

perdona e benedisce.

 

Potró sopravvivere e annunciare:

A me non morirete.

A me sarete pane fresco,

argento alle mie mani:

il cammino che da camminar

ancora mi rimane.